Il delirio di Garlasco - Un altro errore giudiziario?
Per l'ennesima volta, un caso apparentemente risolto torna alla ribalta mettendo in luce una miriade di errori investigativi e alimentando un atroce dubbio.
Questa proprio non me l’aspettavo.
Nelle ultime settimane è accaduto l’impensabile: la Procura di Pavia ha richiesto nuove indagini su un caso che molti ritenevano chiuso da anni. Stiamo parlando, chiaramente, del cosiddetto “delitto di Garlasco” avvenuto nell’omonimo paese il 13 agosto 2007. La vittima, la ventiseienne Chiara Poggi, venne aggredita in casa e colpita ripetutamente con un oggetto contundente, finendo abbandonata sulle scale esanime. Il corpo fu rinvenuto dal fidanzato Alberto Stasi, accorso a casa Poggi dopo le ripetute telefonate andate a vuoto. La scena del crimine fu pesantemente inquinata, con agenti che non si premurarono di indossare calzari e guanti e con una persona che finì per scivolare sul sangue della vittima. Dopo un iter giudiziario allucinante, composto da ben cinque gradi di giudizio, lo stesso Stasi venne condannato a sedici anni di carcere perché ritenuto il killer della fidanzata. Non furono individuati né un movente né una ricostruzione credibile, e persino il Procuratore Generale dell’ultimo processo richiese pubblicamente l’assoluzione del ragazzo, definendo la precedente sentenza di condanna “in malam partem” (ovvero espressa sfavorendo volontariamente l’imputato). Stasi, dimostrando un’inaspettata serietà, si costituì la mattina dopo pur proclamando la sua innocenza.
Che la condanna fosse discutibile è dimostrato dalle due precedenti assoluzioni di Stasi, che demolivano il quadro accusatorio traballante dei PM. Basti pensare che non venne mai ritrovata l’arma del delitto e che l’alibi di Stasi, costituito dal suo lavoro sul PC nella mattinata del fatto, venne letteralmente cancellato dai Carabinieri che usarono maldestramente il laptop dopo averlo sequestrato. Un caos indicibile paragonabile solo a quello del delitto di via Poma e a pochi altri. Eppure, dopo la condanna definitiva del 2015, di Garlasco non parlò più nessuno ad eccezione degli avvocati di difesa che invocavano ciclicamente la revisione del processo.
Almeno fino a quest’anno.
L’11 marzo 2025 una notizia ha sconquassato i programmi TV e i telegiornali: Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara Poggi, è ufficialmente indagato per omicidio o concorso in omicidio con ignoti. La prova del fattaccio? Il DNA dello stesso sulle unghie della vittima già individuato nel 2016, dapprima finito in una rapida archiviazione. Sempio, allora diciannovenne, frequentava casa Poggi, ma non aveva alcun rapporto con Chiara e il suo alibi dell’epoca aveva fatto alzare più di un sopracciglio: il ragazzo aveva sempre dichiarato di non essere stato a Garlasco e come prova aveva portato lo scontrino di un parcheggio di Vigevano, ma solo ad un anno dal delitto. In più, dichiarano gli inquirenti, il suo telefono non agganciò mai la cella di quel paese nella data fatidica.
Ma da dove salta fuori questo DNA? Nel 2016 e 2017 la Procura lo definì “inutilizzabile” dopo una perizia della difesa che, invece, lo attribuiva proprio a Sempio. In più, il campione del ragazzo fu ottenuto in un modo poco limpido da un’agenzia di investigazioni assunta dal team difensivo di Stasi. Oggi, misteriosamente, la stessa accusa sembra aver cambiato idea e quel codice genetico pare essere tornato utile per confronti. Com’è possibile? Personalmente ogni volta che si parla di DNA mi vengono i brividi, pensando all’odissea del caso di Yara Gambirasio, e non sono mancati negli ultimi giorni i “superesperti” di quella vicenda che lanciano sentenze anche su questa nuova svolta. Il circo mediatico, com’è ormai consuetudine, sta letteralmente ingoiando tutte le persone coinvolte e da questo prendo sempre le distanze.
Quello che lascia oggettivamente sconvolti è la pervicacia della stessa Procura nel richiedere nuove indagini e nel mettere in fortissimo dubbio il lavoro dei precedenti PM e la sentenza di condanna della Cassazione. A memoria, non ricordo un evento simile per un caso mediatico come quello di Garlasco. Che Sempio sia o meno coinvolto, non posso che compiacermi nel vedere dei magistrati prendere a cuore una storia poco chiara come questa e spingere per chiarire i dubbi. Certo, dovrebbe essere il minimo per chi amministra la giustizia, ma purtroppo abbiamo avuto praticamente solo esempi negativi negli ultimi decenni tra prove spostate e testimonianze indotte. Come finirà? Non resta che attendere.
Speriamo sia l’inizio, che questa vicenda possa essere la prima che apre le porte per rivedere tutti quei casi in cui le indagini sono state fatte male e dove non è mai stato chiaro chi fosse il colpevole, perché e come.